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Vite spezzate

Sindrome post-aborto

Testimonianza di Antonella

Testimonianza di Barbara

Testimonianza di Milena

Testimonianza di Monica

Testimonianza di Valentina

 

In questa pagina vogliamo parlare di un dramma di cui solitamente si sa poco o nulla. E' il dramma delle donne che, dopo avere abortito, prendono coscienza della gravità del loro gesto e vivono questa esperienza nel più lancinante dei dolori. E' un dolore muto, silenzioso, solitario, che solo coloro che hanno provato possono veramente capire nella sua drammaticità. Questa pagina è dedicata a tutte quelle donne che si sentono morte dentro per la perdita del loro bambino e che non hanno il coraggio e la forza di perdonarsi.

 

 

 

Vite spezzate: paternità e maternità negate

"Troppo spesso la donna è lasciata sola nel momento della scelta terribile: per la vigliaccheria del maschio, per l'indifferenza e l'ipocrisia del gruppo sociale davanti alla realtà di due vite spezzate. Siamo tutti in un certo senso responsabili della distruzione di queste due vite: quella dell'innocente e quella di chi non si è vista offrire alternative.

Dopo quel patrimonio di conoscenze sulla vita intrauterine che la scienza ci mette a disposizione non si può esitare a mettere l'accento sulla natura omicida dell'aborto volontario (I.V.G.) Quando la politica e la cultura della morte mettono davanti le difficoltà della donna e il suo diritto ad essere la sola a scegliere, mettono invece l'accentro sulla libertà di uccidere e non sulla libertà di ogni uomo.

Oggi, nell'epoca della bioetica e del consenso informato, ancora pochi e neppure le donne sanno come avviene l'aborto. Nelle scuole i ragazzi non sentono quasi mai parlare di gestazione e di sviluppo fetale. La scuola che sbandiera l'importanza dell'educazione sessuale non vuole che i ragazzi e le ragazze sappiano cosa è davvero un aborto. Le ragazzine vanno ad abortire senza sapere cosa fanno davvero.

Cosa significa allora consenso informato? Dovrebbe essere indispensabile almeno che gli uomini e le donne facciano la loro scelta in piena scienza e coscienza; possano decidere consapevolmente se ricorrere oppure no ad una pratica omicida, che, pure, lo stato ha reso lecita." (Sandro Gindro, docente di psicoanalisi della gestazione, Università La Sapienza, Roma)

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La sindrome post-aborto

Esiste una divergenza d'opinioni all'interno della professione medica e psicologica circa la frequenza e la gravità degli effetti psicologici derivanti dall'aborto volontario. Questa diversità d'opinioni nasce sostanzialmente dal fatto che la valutazione di un possibile disagio è stata condotta sinora su basi di tipo soggettivo, senza valutare in modo oggettivo e scientifico quanto realmente vissuto dalle donne interessate sia nei tempi brevi che nei lunghi. Infatti, l'aborto è il solo intervento in cui l'operatore medico e/o psicologo non segue mai la paziente nel decorso post-abortivo, a meno che non ritornino per un altro aborto.

la pratica ormai banalizzata dell'aborto volontario ha reso però di nuovo attuale e fatto uscire dall'ombra alcuni aspetti, conosciuti ad onor del vero già da tempo, tra i quali la sindrome post-abortiva.

Negli otre 400 lavori scientifici prodotti dal 1995 ad oggi a livello mondiale si definiscono tre quadri gnoseologici: la psicosi post-aborto, che insorge subito dopo l'aborto, può perdurare per oltre sei mesi, ed è  un disturbo di natura prevalentemente psichiatrica; lo stress post-aborto, insorge tra i tre e i sei mesi e rappresenta il disturbo più lieve sinora osservato; la sindrome post-abortiva, un insieme di disturbi che possono insorgere subito dopo l'interruzione, come dopo svariati anni, poichè possono rimanere a lungo latenti a livello inconscio.

La base stessa della P.A.S. si situa al livello della percezione soggettiva dei fatti. In altri termini, la donna risente l'aborto come il fatto di avere ucciso in modo cosciente e premeditato. Le conseguenze per la donna colpita da tale sindrome sono a testimoniarne la gravità. Secondo l'Elliot Institute for Social Sciences Research, il 90% delle donne soffre della perdita di autostima; il 20% soffre gravemente di sintomi di tipo di stress post-traumatico; il 50% soffre dello stesso disturbo seppur in modo meno grave; il 60% presenta sintomi depressivi. in altri studi anglosassoni non sono riportate statistiche su ulteriori aspetti, quali gli incubi notturni, le difficoltà di relazione interpersonale, gli stati di panico, di depressione e di disagio di fronte a donne gravide e a bambini piccoli.

La comparsa di disturbi organici di fronte a questo stato di disturbi psicologici è anche di difficile quantificazione, ma sono stati messi in correlazione disturbi ginecologici (amenorrea, algie pelviche, dolore ai seni, ecc.) ed evento abortivo volontario. Tali sintomi, che si possono presentare anche per tempi lunghi, di solito non si spiegano solo con l'aspetto chirurgico dell'intervento. Queste donne presentano molto frequentemente processi di rimozione dell'aborto subìto. Si sforzano di compensare il loro rimorso attraverso un'attività vicariante, impegnandosi in pieno nelle loro occupazioni. Difficilmente ad una prima consultazione si riescono a mettere in relazione i sintomi, presentati in modo disparato, con l'evento abortivo, in quanto non è sempre presente la coscienza che il malessere nasca dall'aborto, aborto che in un primo momento può essere stato vissuto come atto "liberatorio".

Questo anche perchè il clima culturale non permette di fare emergere questo dolore: il dolore deve rimanere clandestino! Infatti si può scegliere legalmente se tenere il bambino oppure no, ma non è permesso alla donna di manifestare la propria sofferenza!

Quanto descritto ed indagato nei lavori di ricerca non può che portare ad un'unica conclusione: l'aborto volontario non è una soluzione, bensì è a sua volta causa di problematiche, anche gravi. Questa presa di coscienza deve fare superare le diversità di opinione di tipo ideologico, riportando un clima di onestà scientifica. E' un impegno che deve coinvolgere tutta la comunità scientifica sia nella cura di questi disturbi, che nell'identificare programmi di formazione/educazione tesi alla prevenzione dell'aborto volontario. (Dario Casadei, psicologo e psicoterapeuta)

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Testimonianze tratte dal libro  "...ma questo è un figlio", ed. Gribaudi

Testimonianza di Antonella

Sono una ragazza di 18 anni e voglio raccontare una storia che ancora adesso mi fa sentire in colpa per quello che ho dovuto fare.

Era un giorno d'estate del 1996 e con il mio ragazzo avevo avuto dei rapporti; io avevo deciso di donarmi a lui, perchè il mio amore nei suoi confronti era immenso e mi sembrava che solo così avrei potuto dimostrarglielo. Ho avuto paura, non lo nascondo, paura che dopo aver avuto il rapporto venissi lasciata, paura di rimanere incinta e dopo di dover nascondere la mia condizione. Ho passato un periodo di grande solitudine, perchè alcuni sintomi mi avevano allarmata.

In un primo momento non sapevo cosa fare, ma dopo  mi dissi: "Fatti coraggio, non ti abbandonare proprio adesso!" Tirai un lungo sospiro, mi feci forza e andai a comprare il test di gravidanza in farmacia. Avevo vergogna, mi sentivo come una tossica senza la sua dose, feci questo test e purtroppo l'esito fu positivo.

Quanta paura, quanti urli, quanti giorni vissuti nell'angoscia! Non volevo uscire, avevo solo voglia di morire. Non sapevo cosa fare, non trovavo il coraggio di dirlo ai miei genitori, così mi confidai con una persona. Lei mi aiutò molto, lo disse ai miei genitori, ma loro, invece di darmi una parola di conforto, mi aggredirono, mi dissero delle parole terrificanti, mi minacciarono.

Io cercavo di non sentire quelle parole, perchè pensavo già che qualcosa stava crescendo dentro di me ed avvertivo la maternità. Sono stata anche consigliata di tenere il bambino, ma non vedevo come avrei potuto fare. Purtroppo la decisione dei miei era quella di farmi abortire, anche se io non volevo. Ma loro mi dissero che se non lo avessi fatto, sarei dovuta andare via da casa. La decisione è stata disumana, brutale, ma non potevo fare diversamente, nessuno mi avrebbe ospitato e il mio ragazzo si era dileguato. Io ci tenevo a diventare madre, però non è accaduto. Il 27 settembre mi trovai in una stanza di ospedale, aspettavo di abortire,, piangevo, piangevo, tremavo, avevo paura che nessuno potesse capirmi, neanche mia madre, nessuno mi voleva bene.

In quel momento ero la rovina della famiglia e il disonore in persona. Sono stata malissimo, è stata un'esperienza brutale, che forse mi segnerà per  tutta la vita e che non auguro a nessuno. Ragazze, lottate, non prendete delle decisioni affrettate, non fatevi condizionare dal giudizio degli altri, pensate con la vostra mente e fate quello che vi dice il cuore. Credetemi, abortire non significa mangiare un gelato, divertirsi con gli amici, significa vivere nel terrore, perchè sai che una vita ti viene strappata dentro.

Ancora provo dei rimorsi e, facendo dei passi indietro con la mente, penso di essere stata crudele e di avere tenuto tutto dentro per paura; ma ragazze, ricordate che il silenzio è un grande alleato della paura. Penso inoltre di essere stata crudele, perchè ho ucciso un esserino indifeso che cresceva  dentro di me, la crudeltà non ha mai ruposo sulla terra, quindi non si sconfiggerà mai.

Ora mi porto vive dentro le tracce di questa crudeltà e penso che non dimenticherò mai quello che ho dovuto fare. Spesso mi scopro a sognare ad occhi aperti e nei miei sogni c'è il volto di un bimbo che mi chiama mamma, che mi tende le manine in cerca di affetto e di protezione. In questo mese di aprile, penso che avrei potuto partorire la mia creatura ed ora la terrei tra le braccia a cullarla. Ma anche i sogni notturni mi perseguitano, a volte mi sveglio di soprassalto, tutta sudata ed ho la sensazione di sentire una vocina che mi chiama.

Voglio dire a chiunque legge questa mia testimonianza che non l'ho fatto a cuor leggero. Credetemi, sono stata male veramente, penso che se ritornassi indietro, non lo rifarei, perchè io sono contro l'aborto, ma purtroppo è stata una scelta obbligata. Ragazze, se rimanete incinte, anche se non site sposate, non dite in maniera affrettata: "Abortisco". No, ragazze, lottate per la vita del vostro bambino, non fate come me, perchè adesso mi accorgo che si poteva fare una scelta diversa, anche se avrei dovuto fare dei sacrifici, trovare un lavoro, lottare per la mia creatura. Forse sarebbe stato difficile, alle soglie del duemila e nessuno è benevolo con gli altri, perchè l'egoismo è la legge che predomina. Viviamo in un mondo di violenza, di odio e di razzismo, manca il rispetto di se stessi e quindi anche degli altri. La dignità della persona umana viene calpestata ogni giorno e i giornali ce ne dann0o testimonianza. Accendere la televisione significa sentire più notizie di cronaca nera che altro.

Ci nutriamo di delitti, misfatti, atrocità di ogni genere. Quale esempio per la gioventù di oggi? Dove sono i riferimenti, i modelli, il porto sicuro in cui rifugiarsi? I giovani di oggi sono in balìa di se stessi e prendono coscienza troppo tardi dei loro errori. Io confido, comunque, in un mondo migliore, in cui l'amore sia la forza aggregante tra gli uomini e il rispetto della vita la base per un'autentica uguaglianza fra tutti gli essere umani.

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Testimonianza di Barbara

In pochi minuti, in un attimo, tutto distrutto. Il desiderio di una vita cruentemente annientato e, con esso, l'annientamento di me stessa come persona umana, con la propria sensibilità, i propri sentimenti, il proprio potenziale di femminilità.

Se è vero che una vita ha qualcosa di sacro, abbattere questa vita vuol dire negare l'esistenza del sacro nella nostra vita, nella nostra persona, nel bambino che avrebbe dovuto esserci. E la sera prima di dormire, allontani questi pensieri perchè non riesci a sostenerli, non riesci a negare che qualcosa è accaduto, qualcosa di irreparabile, ed allora sprofondi nella più profonda depressione, perchè non vuoi o non sai accettare che questo è successo: una morte premeditata.

Gli altri che non sanno, ti dicono di non pensarci, di cambiare uomo, di non buttari giù di  morale, ma anche voi, amici di sempre, anche voi, avete una responsabilità: di non avere mai detto che una vita umana è unica e irripetibile e per questo sacra, perciò, cari amici, vi compiango, perchè mai nessuno mi ha detto ciò.

Ma ora ho ricevuto una grazia, una pace diversa, una nuova consapevolezza di vivere nella priorità dei valori della vita, e forse la gioia di essere stata, anche se per poco tempo mamma, e di far riferimento a lui, al mio bambino non nato, nei momenti cruciali della mia vita, quando lo invoco.

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Testimonianza di Milena

Mi chiamo Milena, abito a Milano. Anni fa, quando mi sono accorta di essere in stato di gravidanza, per il banale incidente della rottura del profilattico, ho trascorso 45 giorni di profonda disperazione, angoscia, paura, ansia, depressione. Avevo sposato un uomo che giocava a soldi. Mio padre era molto malato. Dalla mia città ci siamo trasferiti al paese di mio marito. Lui, alla sera, usciva sempre, andava al bar a giocare a carte e puntava una cifra. La sera stessa del nostro matrimonio, i nostri vicini di casa dissero che sarebbero venuti a portarci i doni. Mio marito era nervoso, non riusciva a stare fermo e, dopo breve tempo, mi disse che sarebbe andato al bar, a prender eun caffè con gli amici. Con molta fatica riuscii a trattenerlo, ma in seguito non è mai rimasto in casa, nei cinque anni del nostro matrimonio.

Non vedevo una lira del suo stipendio, ma lui pagava la spesa; non sapevo nemmeno in quale giorno percepiva lo stipendio. Eppure mio marito era buono, forse anche troppo; si prodigava molto per gli amici, riconosceva i sacrifici che facevo in casa e quello che sopportavo riguardo a sua sorella. Abitavamo in una piccola frazione e, anche se avevo la patente, non mi muovevo mai. Ero esasperata, gli dicevo che alla prima occasione me ne sarei andata, ma lui pensava che io scherzassi. Gli ho detto centinaia di volte che se avesse smesso di giocare, sarebbero cambiate molte cose fra me e lui. Sua sorella disturbava molto il nostro matrimonio. Spesso entrava in casa senza chiedere il permesso ed inveiva violentemente contro di noi, con minacce di buttarci fuori casa.

Chi avrebbe messo al mondo un bambino in quella situazione di guerra? Mi ero premunita, ma mi è andata male. In quei 45 giorni ero in preda al panico per la paura dell'aborto, ma allo stesso tempo avevo una grande contentezza nel cuore, quel bambino così piccolo mi confortava in quei giorni, era un grande segreto, una dolce comunione fra noi due soli, non mi faceva più sentire così sola.

Se avessi avuto un pò di pace dentro di me, se fossi stata lontana da quel posto, ma soprattutto, se avessi avuto la conoscenza di Dio che ho ora, oggi il mio bambino avrebbe 12 anni, sarebbe felice con me; comunque, il  mio piccolo è seduto qui accanto a me, in spirito, mi sprona a scrivere questa lettera affinchè siano salvati molti bambini e molte donne siano felici. In quel periodo non sapevo a chi rivolgermi, dove chiedere aiuto, non potevo confidarmi con nessuno e mi guardavo bene dall'avvicinarmi a qualche consultorio, proprio perchè in quegli uffici, come in quasi tutti gli uffici italiani, gli assistenti sociali sono freddi, distaccati, metallici e dopo avere trascritto i miei dati, mi avrebbero detto: "Torni il tal giorno, all'ora tale."

Il mio bambino ed io non potevamo aspettare il "tal giorno". Avevo bisogno di amare, il futuro mi spaventava a morte, tutto un pesante fardello di continue sofferenze gravava sulle mie spalle, già prima del matrimonio. Quel piccolo bambino soffriva molto perchè sapeva che stavo per prendere una decisione letale per lui, chiedevo perdono a Dio, a tutti i bambini abortiti nel mondo e a tutti i fratelli che vivono sulla terra. Fino a qualche anno fa, non sapevo che un bambino appena concepito sentisse il litigio dei genitori o la madre che non lo accetta e ne potesse soffrire, ma pensavo che nei primi giorni fosse solo un grumo di sangue, non in grado di recepire sensazioni, emozioni, sentimenti, gioie, dolori. Chiedo a tutti di perdonarmi.

Ho preso appuntamento con il ginecologo, che ha cercato di farmi capire in poche parole, che era il mio primo bambino, di tenerlo, che ne sarei stata contenta e me lo ha ripetuto altre due volte. Ma purtroppo ho scelto l'aborto. Ho pagato il killer per l'uccisione del mio bambino.

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Testimonianza di Monica

E' accaduto tre anni fa. Non pensavo che poi sarebbe stato così terribile, che avrei passato l'inferno. Dopo l'intervento di interruzione di gravidanza, ero quasi al quarto mese, ho provato un senso di liberazione, come se un macigno mi fosse stato tolto dalle spalle. Uscii dall'ospedale assurdamente sollevata. Se solo avessi immaginato il tormento che avrei patito non appena mi fossi resa conto veramente di quello che avevo appena fatto, della tragedia che era appena incominciata.

L'aborto è solo un triste fallimento umano e sociale, non è assolutamente  un gesto di liberazione da qualcuno che non si vuole o un gesto di emancipazione della donna, come dichiarazione della propria libertà. Inizialmente si riesce ancora a fare un ragionamento con un certo distacco, ci si aggrappa ancora alle attenuanti, come la professione che non si può lasciare, i soldi che non bastano, la casa piccola, il disagio sociale e non da ultimo l'età non giovane...

Ho incominciato a dedicarmi con più accanimento agli altri due figli, cercando di dimenticare quello che avevo fatto al terzo che non avevo voluto. Mi sono costruita una barriera, ero apparentemente calma, serena. Tanto la legge 194 lo permette, non ho fatto niente di male, continuavo a ripetermi, ma dentro di me si stava scatenando l'inferno, ero in lotta con me stessa. Agli occhi degli altri ero sempre la stessa, in realtà non ero più io. Ad un certo punto non potevo più sforzarmi di far finta di niente, di non pensarci, di comportarmi come se  non fosse successo niente. La prima fitta di dolore, così forte che non potei ignorarla, la provai per strada quando incrociai una donna che spingeva una carrozzina con un bel bimbo di circa due mesi o forse meno. Ricordo che molto palesemente fui spinta a dare un'occhiata a quel bambino.

Da quel momento iniziò a venire a galla l'istinto materno represso con la forza qualche mese prima. E' stata una pugnalata psicologica. Fui assalita dall'angoscia: mi sembrava di incontrare negli occhietti di quel bimbo ignaro lo sguardo del figlio non voluto, era uno sguardo che sentivo penetrante, triste, implorante. Quello sguardo non mi abbandonò più. Ancora oggi spesso calcolo con la mente l'età che avrebbe mio figlio, se ci fosse, con la fantasia lo plasmo più o meno alto, con i capelli chiari o scuri...

Gli parlo, ma soprattutto spesso, piangendo, gli chiedo perdono. Continuo a pensare a queste cose in modo ossessivo, con ansia e rimorso. Se solo si potesse tornare indietro e stringere quel figlio tra le braccia! Invece rimane soltanto un forte senso di colpa per avere rinnegato un figlio e rinnegare un figlio è come rinnegare una parte di se stessi, perchè il rapporto madre-figlio a livello biologico è così forte che è impossibile dimenticare un fatto del genere o cancellare l'immagine che pur non volendo ci si è fatti del figlio.

Questa sofferenza sta segnando la mia vita ed è un dolore che penso non mi abbandonerà più. Tutto è cambiato da quel giorno: il rapporto con mio marito, soprattutto, non è più lo stesso, è come se volessi scaricare su di lui una parte, non piccola per la verità, della colpa. Penso che ne abbia di colpa, perchè in quella circostanza si è comportato come Ponzio Pilato, se ne è lavato le mani: "Fà come meglio credi, io più di tanto non posso fare, qualsiasi decisione tu prenda, per me va bene". Queste sono state le sue parole.

Non mi fece pressioni, anzi mi sembrava così indifferente come se la cosa non lo riguardasse affatto, come se il figlio che portavo in grembo non fosse stato suo: non mi diede mai una parola di conforto, nè prima nè dopo l'intervento, mai un incoraggiamento che avesse potuto illuminare in un attimo un orizzonte che io vedevo sempre più nero.

Ora persino il rapporto con gli altri due figli è cambiato. Subito dopo l'aborto, ero loro morbosamente attaccata, ora molto meno. Perchè? Perchè mi sembra di fare un torto al terzo figlio, che non so dove sia, per me è come se fosse disperso... Ecco, un'altra cosa: il fatto di non sapere dove sia, di non sapere che cosa ne hanno fatto, mi fa diventare matta... Continuo a ripensarci. Non passa giorno senza che io ci pensi. Accade in qualsiasi momento della giornata, non appena sono libera dagli altri pensieri o occupazioni che mi tengono libera la mente, torna questo pensiero ossessionante. Mi capita specialmente la notte, prima di addormentarmi, quando sono sola in casa, quando non riesco a dormire perchè soffro di insonnia o mi sveglio in preda agli incubi, che mi ripresentano orribilmente quel momento.

Quando ci penso, riemerge tutta la superficialità, l'egoismo e l'estrema violenza che ho brutalmente riservato a mio figlio, che è stata la sua condanna a morte. Più il tempo passa, più il rimorso diventa lancinante, insopportabile. Piango allora: ma è troppo tardi, troppo tardi per sempre. Con il tempo, magari spero di pensarci un pò meno, quando arriveranno nuovi dolori, nuove tristezze, anche se comunque questo rimarrà il dolore più grande. Rimane sempre la strana sensazione che mi prende quando stringo tra le braccia il bimbo di un'altra, lo si stringe in maniera particolare, furtivamente, come se fosse quello il nostro, che ci chiama "mamma", e ancora, "mamma, perchè non mi hai voluto?"

No, è umanamente impossibile dimenticare. La sofferenza magari è più o meno forte, ma nessuna donna può dimenticare. Mai. Poi arriva il momenti il cui si vorrebbe chiedere aiuto, un appoggio, ma non si trova l'occasione, le parole giuste per raccontarlo o le persone che ti circondano non sono disponibili a condividere con te una responsabilità così grande. Se invece qualcuno ti ascolta, lo senti alla fine dire: "Non è una tragedia, non è nulla, vedrai che passa, pensa che è lecito, se lo Stato ti viene incontro..." E tu ti senti peggio di prima, sentendolo così lontano mentre sdrammatizza un problema che invece per te è enorme. Sono parole vuote, mediocri, poi la porta si chiude e tu resti sola, stretta in una morsa di isolamento e di omertà, ci si pente quasi di averne parlato.

Il dramma è tuo, è tuo soltanto il dolore dentro di te, è ben radicato e forte anche se invisibile. Non ho sentito in quelle settimane nessuna partecipazione viva, nessun interessamento sincero, nemmeno dalle persone più vicine, che sapevano quello che stavo vivendo. Sentivo di essere completamente sola nella decisione da prendere e quella solitudine mi spaventava. le poche persone con le quali mi sono confidata avevano una voce meccanica, fredda, seccata quasi. Parlavano con una superficialità che mi irritava. Mi dicevano di pensare al mio bene, ai figli che già avevo, alle difficoltà economiche che avrei avuto con un altro figlio a carico, a come avrei vissuto con un altro figlio piccolo da crescere.

Praticamente con le loro argomentazioni mi spingevano ad abortire. Se ero indecisa, mi hanno consigliato di farlo, per il mio bene, dicevano soprattutto! Non sentivo nessuna pietà per il figlio che avevo in grembo. Infine, intontita, confusa, sola come un cane, ho preso una decisione, quella più sbagliata. E ho perso per sempre mio figlio, non potrò mai stringerlo a me e dirgli che la sua mamma gli vuole bene ora, forse più che a quelli vivi.

Nel mio paese allora non c'era una Centro di Aiuto alla Vira. Se invece di fare quello che ho fatto, avessi trovato un Centro, oggi avrei uno sguardo in più che mi sorride...

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Testimonianza di Valentina

Sto uscendo dal consultorio, ho appena detto al ginecologo che non posso, non voglio questa gravidanza. Mi ha dato un foglio e con questo sto andando all'ospedale. Mi danno l'appuntamento per parlare con l'assistente sociale fra due giorni. Ho la nausea e non mi sento per niente bene. Per fortuna i due giorni passano in fretta.

Sono qui davanti a questa porta con lui, non diciamo niente, ci guardiamo e osserviamo le altre donne che aspettano. Siamo tutte lì per lo stesso motivo, due donne sole, una ragazza assieme a sua madre. E' il nostro turno, entriamo insieme, ma io mi sento sola. L'assistente sociale che ho di fronte mi è antipatica, mi fa alcune domande ma non mi chiede come sto: come mi chiamo, quanto anni ho. Ho 18 anni compiuti, perciò tutto a posto!! Mi manda al piano di sopra a fare le analisi e mi dà l'appuntamento per il ricovero.

Ho organizzato tutto, ai miei genitori ho detto che all'uscita da scuola vado dalla mia amica e dormo da lei. Sono le 7,45 di lunedì mattina, arrivo all'ospedale e rivedo le stesse donne che aspettavano davanti a quella porta. Ci portano nelle camere. Tutte le stanze da sette letti, tre da un lato, tre dall'altro e uno in mezzo, il mio. Gli altri letti sono tutti occupati, mi sento a disagio. Lui è qui vicino a me, mi tiene la mano.

E' il mio turno, con la barella mi portano in una stanza bianca, fredda. Sto gelando. Riconosco il ginecologo del consultorio, mi sorride, io no. Un'infermiera mi fa una puntura o una flebo, non so, e mi dice di contare a voce alta: uno, due, tre...il buio. Mi sveglio nel letto, guardo lui che mi stringe forte la mano. Gli chiedo se era un maschio, era sicuramente un maschio.

Una donna di un letto vicino si alza e mi accarezza la fronte. E' pomeriggio, mi alzo stancamente e con lui che mi sorregge cammino nel corridoio. Incontro la ragazza accompagnata dalla madre, ha gli occhi vuoti, forse come i miei, la madre mi sorride debolmente. Non diciamo nulla.

Poi verso sera c'è la visita dei medici, mi chiedono se voglio rimanere per la notte, rispondo di no, voglio andare via, scappare di lì, firmo. Il ginecologo che era in quella stanza fredda ora mi guarda e mi giudica o forse sono io che inizio a giudicare me stessa.

Oggi ho 32 anni, sono sposata, ho due bambine, ogni giorno il mio pensiero corre a quel bambino che non ho avuto, ad Andrea che non ho voluto.

Sono certa che se qualcuno mi avesse spiegato, detto, o solo chiesto, se ci avevo pensato bene, oggi mio figlio avrebbe 13 anni.

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